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venerdì 5 aprile 2019

Modelli di educazione digitale, comportamenti dei nativi digitali e dei loro genitori

Intervista a Patrizia Mattioli, psicologa e psicoterapeuta,
Socio Ordinario della Sitcc (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva). 
Ha lavorato per venticinque anni come consulente scolastico nella scuola superiore, collabora con il Laboratorio di Psicologia Costruttivista Post razionalista di Roma.
Ha fondato l'Associazione Comunicascuola con cui ha pubblicato il sito www.comunicascuola.it
E’ autrice di numerosi articoli pubblicati in Internet e su riviste di settore.
Scrive sul suo blog www.patriziamattioli.org, è blogger per Il Fatto Quotidiano www.ilfattoquotidiano.com/blog/pmattioli.

In questa epoca caratterizzata dai processi di Digital Transformation, che sta attraversando tutti i settori della società civile, si sono creati modelli di educazione digitale finalizzati a individuare opportunità e minacce nell’uso dei social media?

Internet e la rivoluzione digitale hanno dato vita a tanti mondi paralleli rispetto a quello reale in cui è possibile muoversi “restando fermi”. Questo favorisce  una percezione di non esposizione che si è presto rivelata distorta, e ha messo in evidenza che alle grandi opportunità in rete corrispondono, al pari del mondo reale, alcuni rischi che è bene conoscere e dai quali è bene tutelare chi naviga in internet, soprattutto con riferimento ai frequentatori più giovani.
Per questo si è posta la necessità di progettare percorsi di educazione digitale, mirati a formare le nuove generazioni a un utilizzo adeguato e consapevole  dei social network e della rete in generale.
Alla quantità di giovani da educare non corrispondevano però sufficienti formatori, ma piuttosto educatori poco preparati a gestire gli strumenti digitali che i ragazzi manovravano benissimo.

Sono fioriti perciò molti corsi per gli adulti, persone della famiglia o legate alla scuola, vicini a bambini e adolescenti, con l’obiettivo comune di insegnare a vivere nella rete, così come si insegna a vivere nella realtà e di accompagnare il bambino o l’adolescente in maniera adeguata all’età, nel percorso di esplorazione e messa in guardia dalle insidie che vi potrebbero incontrare.
I corsi hanno risposto ad un esigenza sentita molto dai genitori, dagli educatori e dagli insegnanti, che chiedevano aiuto alla scuola e agli specialisti perché preoccupati di vedere i figli muoversi velocemente in spazi e con strumenti a loro sconosciuti.

I percorsi di formazione, se pur proposti da soggetti diversi con punti di vista diversi (polizia postale, psicologi, informatici, ecc..), concordano su alcuni punti comuni.
Il primo è che tutti gli adulti, soprattutto quelli di riferimento per i giovani, devono avere familiarità con la rete e le tecnologie: conoscere è il primo passo per comprendere ed educare i figli o gli studenti ad un approccio consapevole nell'utilizzo del web
Il secondo punto condiviso è che l’educazione digitale deve iniziare molto presto, perché i bambini entrano molto presto in contatto con gli strumenti digitali e con il mondo virtuale e riescono velocemente, a dispetto dei divieti imposti, ad iscriversi ai social network. Più della metà di questi bambini naviga in rete senza la presenza di un adulto e molti rischiano di entrare in contatto con contenuti non adatti a loro, se non anche di fare incontri pericolosi. Il fatto che apprendano velocemente ad usare la tecnologia non significa che siano in grado di usarla correttamente.
L’atteggiamento da assumere non è diverso da quello che si ha con il mondo reale: non manderemmo infatti mai un bambino di 8 anni in giro da solo in luoghi che non conosce, senza avergli insegnato nulla.

Il terzo punto in comune riguarda l’importanza di creare regole condivise.
È importante che i più giovani conoscano e utilizzino le risorse delle tecnologie e della rete, così come è importante che queste lascino comunque spazio alle attività tradizionali. 
Nello spazio virtuale si corre facilmente il rischio di essere fagocitati, di perdere il senso del tempo che passa. Il tempo di utilizzo va perciò regolamentato. Vietare l’uso di questi strumenti potrebbe sortire l’effetto contrario. Meglio dunque concordare insieme il tempo da dedicare alla navigazione, magari iniziando con esplorazioni congiunte per illustrare e mettere in guardia i più giovani dai pericoli del web. E’ importante, da questo punto di vista, condividere regole nelle quali anche il bambino possa riconoscersi, senza sentire la necessità di trasgredire.

Un altro punto importante riguarda la privacy: è importante che il bambino capisca subito i motivi per i quali è importante non fornire in rete informazioni personali, visto che alla percezione individuale di non esposizione, si contrappone un ecosistema di piattaforme e siti web che possono acquisire e conservare le nostre informazioni.
Le relazioni che si costruiscono nei social network non sono molto diverse da quelle del mondo reale: anzi, ne costituiscono un’estensione virtuale. Seguono le stesse regole delle relazioni reali e come tali possono essere affrontate nei percorsi educativi/emotivi con gli adulti. Questa è la direzione di prendere, senza dimenticare che i nostri figli riusciranno comunque ad essere sempre più veloci e ad avere maggiore dimestichezza con gli strumenti tecnologici.

Sarebbe necessario introdurre l’"educazione digitale” nelle scuole?

La scuola è il luogo per eccellenza adibito alla formazione, educazione e divulgazione della cultura. Come tale può essere uno spazio importante per l’erogazione della cultura digitale rivolta ai bambini e ai ragazzi.
La scuola, tuttavia, non può essere l’unico soggetto attivo: il percorso di educazione digitale deve iniziare molto presto. Dobbiamo considerare infatti che non tutti i bambini frequentano il nido o la scuola materna, mentre tutti i bambini ormai entrano in contatto con la tecnologia molto presto, a volte già molto prima dei tre anni. E’ dunque fondamentale, oltre che giusto, che anche la famiglia sia preparata a trasmettere questo tipo di educazione ai propri figli.

Secondo i dati dell’Istat le famiglie con figli minori sono le più tecnologiche: più dell’80% possiede almeno un computer e una connessione Internet in casa e oltre il 90% di esse possiede uno smartphone, o comunque un device con possibilità di connessione a internet. Nonostante questo spesso i genitori dei nativi digitali non sembrano in grado di  educare al digitale i loro figli che imparano a utilizzare videogiochi, Internet e social network soprattutto grazie ad amici, compagni di classe, o fratelli più grandi.
E’ importante che l’educazione digitale rientri all’interno del progetto educativo del bambino, che l’apprendimento del linguaggio digitale inizi in famiglia e prosegua poi a scuola, che gli insegnamenti siano propedeutici e che ci sia integrazione tra le due istituzioni nel percorso di alfabetizzazione digitale.
A volte si nota una specie di dissociazione tra atteggiamento e comportamento da parte degli adulti. Sia i genitori che gli educatori e gli insegnanti usano molto Internet, ma temono il modo in cui possono utilizzarlo i loro figli o i loro studenti. Inoltre capita che i figli vengano lasciati a navigare da soli adducendo i più svariati motivi (tempo, stress,..).
Da questo punto di vista l’educazione digitale, come accade a volte con l’educazione in genere, mette in luce le difficoltà della scuola o della famiglia  di costruire contesti regolamentati condivisi, con il risultato di lasciare a volte le cose al caso per poi lamentare la diseducazione e il non rispetto delle regole. 
La tecnologia digitale non può sostituire la relazione umana, così come era già accaduto con il mezzo televisivo.


Quali sono i comportamenti più comuni dei nativi digitali? e dei loro genitori? Questi nuovi strumenti generano conflitti familiari?

Per i nativi digitali computer, smartphone, linguaggio digitale,  social network e connettività globale, sono parte integrante della quotidianità. 
Con e attraverso di essi parlano con gli amici in ogni momento, fanno foto, video, si scambiano musica e immagini: una vita senza di essi non sarebbe immaginabile. Questo ha un impatto nel rapporto con quegli adulti, che invece hanno difficoltà a far entrare la tecnologia nella loro quotidianità e/o non ne comprendono appieno le potenzialità.
C’è sicuramente un differente utilizzo della tecnologia e della rete da parte degli adulti che tendono ad usare internet prevalentemente come una grande enciclopedia a cui attingere, rispetto ai giovani e giovanissimi che lo usano in modo molto più attivo e interattivo. Internet per loro è soprattutto un luogo di socializzazione, partecipazione e condivisione. E’ un ambiente che crea nuove forme di comunicazione, nuove forme di stimolazione dell’intelligenza, nuovi modi di costruire la conoscenza e le relazioni.
I social network hanno un grande potenziale aggregativo per le persone in cerca di contatti, di condivisione, di appartenenza, di approvazione, che alimentano la sicurezza e l'autostima grazie alla visibilità. Sono irresistibili per un adolescente che sfrutta il virtuale per sviluppare, allenare, esprimere parti di sé magari meno espresse nella quotidianità. Non sempre, ma comunque spesso, questo ha una ricaduta positiva sulla vita reale.

Da una parte alcuni genitori assumono atteggiamenti diffidenti verso la tecnologia e la rete anche perché tendono ad attribuire ad esse le difficoltà che osservano nei loro figli. L'atteggiamento diffidente impedisce loro di conoscere i mezzi e i luoghi virtuali frequentati dai figli, così spesso non hanno un'idea di cosa essi facciano mentre sono concentrati sul cellulare, tendendo a considerare in modo molto critico il suo utilizzo.
All’opposto, ci sono i genitori che hanno con la tecnologia lo stesso rapporto che rimproverano ai figli, rafforzando di fatto il comportamento che criticano. Tutti condividono la preoccupazione che l'utilizzo della rete possa portare nel tempo i più giovani alla restrizione delle relazioni con gli altri, visto che l’esperienza virtuale viene, spesso erroneamente, percepita come più agevole rispetto alla realtà, con apparentemente minori rischi rispetto all'esposizione, al giudizio, al coinvolgimento, all'impegno. 

Il tema dei rischi della rete è molto attuale. Ci si domanda quale sia l'impatto delle tecnologie sul sistema nervoso umano in generale, e su quello delle fasce più giovani in particolare, e se ci sia differenza tra la generazione digitale e quelle precedenti. Si formulano teorie sul comportamento e sull'apprendimento non lineare, caratterizzato dalla capacità cosiddetta multitasking, che prevede la messa in pratica di più operazioni contemporaneamente, così come è possibile fare sul web e come sembra riescano a fare i nativi digitali anche se non è ancora chiaro quali conseguenze questo abbia sul piano dell’identità personale.
Oggi il cellulare è ritenuto uno strumento utile in molti ambiti, anche ai fini didattici: molti insegnanti invitano gli alunni a visitare siti o pagine precise in classe, durante la lezione; o li invitano a farlo a casa. I ragazzi lo utilizzano spesso mentre fanno i compiti per ricercare materiali, fare traduzioni, io stessa ho utilizzato in più occasioni la diffusione dello smartphone tra i ragazzi, per somministrare questionari e rilevare sondaggi (Mattioli, 2015, 2017).
In ultima analisi possiamo dire che l’incomunicabilità tecnologica ricalca l’incomunicabilità generazionale, e la rete è il nuovo spazio in cui si gioca la trasmissione dei valori e delle regole durante il percorso educativo e in cui si realizza il conflitto familiare che spesso accompagna la fase adolescenziale dei figli.

Su quali aspetti dovrebbe puntare la formazione per avere un effetto più incisivo?

Dobbiamo considerare che le esperienze tecnologiche sono contemporaneamente in grado di supportare l’apprendimento e il miglioramento della qualità della vita, ma anche di contribuire alla creazione di comportamenti disfunzionali. Un progetto formativo deve essere in grado di fornire strumenti per favorire ovviamente la direzione più costruttiva. Per farlo è importante conoscere, una volta acquisite le competenze tecniche, quali piani vengono stimolati dalla navigazione per comprenderne a pieno la portata e indirizzarla nella direzione voluta.

E’ riconosciuto che le esperienze virtuali sono in grado di stimolare le capacità cognitive come l’attenzione, la percezione, la memoria, ecc.. e di stimolare la possibilità di sperimentare, riconoscere e gestire quelle emotive.
Uno degli elementi su cui secondo me va posta la priorità sta proprio su questo: l’analisi delle emozioni che il sistema digitale stimola, che rappresentano uno dei punti cruciali dell’esperienza virtuale sia nei videogiochi che nei social network.
Dobbiamo avere ben chiaro il fatto che le persone privilegiano le situazioni che li fanno sentire meglio, e se queste prevalgono nel mondo virtuale rispetto alla vita reale, saranno le preferite.

Consideriamo ad esempio i videogiochi: essi rappresentano spesso motivo di conflitto tra genitori e figli, soprattutto nella prima parte dell’adolescenza.
I genitori si attivano perché percepiscono l’isolamento dei figli che dedicano tempo al videogioco piuttosto che alle uscite con gli amici o ai compiti. Dovrebbero sapere però che gli attuali videogiochi difficilmente isolano. Piuttosto promuovono la socialità, anzi spesso si basano proprio su di essa. In molti giochi in rete, ad esempio, un giocatore muove il suo personaggio insieme ad un gruppo di altri giocatori che collabora con lui per raggiungere lo scopo prefissato e ogni giocatore può contare a rotazione sulla stessa collaborazione.
Come scrivono Stefano Triberti e Luca Argenton (2013), che hanno fatto un’approfondita analisi psicologica dell’uso dei videogames, il gioco riesce ad emozionare perché stimola istinti innati come l’esplorazione, il piacere per la distruzione, il desiderio di accumulare, di riempire uno spazio vuoto o di sentirsi un dio. Così vengono attivate reazioni emotive pari a quelle vissute a partire da stimoli reali: senso di capacità, di competenza, di adeguatezza, di realizzazione personale, ecc... L'attività ludica mette alla prova il giocatore spingendolo al limite delle proprie capacità e motivandolo continuamente a superare gli altri e se stesso.
Nella vita quotidiana è pratica comune immaginare di essere qualcun altro: i bambini nei loro giochi, gli attori su un palco o davanti all'obiettivo di una telecamera. Chi ha un po' di immaginazione mette in pratica quello che rappresenta un gioco identitario.
Le realtà virtuali e i videogiochi hanno aperto nuove frontiere per la sperimentazione di se stessi: i primi videogiochi, costituiti soprattutto da simboli e luci, si sono evoluti trasformandosi in storie, fatte di personaggi, ambienti, incontri, emozioni e colpi di scena, dove ognuno può creare la sua sceneggiatura ed essere protagonista.

Per questo, contrariamente a quello che comunemente si crede, la rete non è il luogo in cui il navigatore si muove in modo passivo e dove rimane vittima di regole virtuali, ma è un luogo che offre stimoli attivi e complessi che creano reazioni altrettanto attive e complesse. Questa complessità deve essere conosciuta e compresa per poterne sfruttare al massimo le potenzialità sul piano dell’apprendimento e dell’educazione. 

Tutto ciò dovrebbe avere uno spazio importante nella formazione. E i settori principali in cui realizzarla restano, secondo me, sempre la scuola e la famiglia. 
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