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sabato 21 marzo 2020

Digital Transformation, #giornalismo e #comunicazione politica

Intervista a Tommaso Labate, giornalista del Corriere della Sera, conduttore su La7 e conduttore su radio 2 di "Non è un paese per giovani"

1. Qual’è stato 'impatto della digital transformation nella tua professione di giornalista e nel tuo percorso professionale?

la digital transformation ha avuto un impatto molto significativo nella professione di giornalista; prima il tempo era scandito da appuntamenti fissi: il telegiornale ad una certa ora, i giornali che chiudevano le proprie edizioni ad un orario fisso, il flusso delle notizie era statico tant'è che nella storia anche recente della comunicazione politica moltissimi politici hanno commentato gli eventi o il caso del giorno intorno alle 19.00/19.15 perché erano sintonizzati col telegiornale delle 20. Questo aspetto è stato completamente rivoluzionato dalla presenza della DT perchè ora il flusso delle notizie non conosce alcun tipo di orario ed è continuo, basta scrivere su Twitter o su Facebook e il messaggio arriva. Il fatto che i TG lo riprendano è un aspetto fondamentale ma secondario rispetto ad una volta dove la tua comunicazione era orientata esclusivamente alla televisione, ai giornali e alle radio. Ciò da un lato ha modificato profondamente la comunicazione politica e dall'altro lato ha portato ha rivoluzionato il mondo dell’editoria si sgancia dalla cronaca per concentrarsi  sull'analisi.
Mi sono laureato nel 2002 e ho cominciato a lavorare al "il riformista" giornale molto ancorato alla stampa tradizionale, dotato solo del sito web. Ho seguito i canali e i percorsi tradizionali dell'apprendimento del mestiere, il rapporto diretto con le fonti. Ho inziato a sperimentare per caso i social media, tra questi segnalo in particolar modo Twitter, perché ero inviato la seconda edizione della Leopolda a Firenze, dove per un banale incidente avevo perso la connessione con l'agenzia Ansa, ho scoperto che c'era un modo alternativo di arrivare al testuale di quello che gli oratori dicevano sul palco. Questo modo alternativo era Twitter. Per la prima volta di fronte ad un oratore che la platea aveva sul palco,  una parte della platea non lo guardava negli occhi ma guardava in basso perchè twittava. Non avevo il collegamento con l'Ansa, in quel momento ho sopperito all'assenza di un mezzo molto tradizionale e ho capito che si poteva sopperire con twitter perché la platea prendeva nota e mandava in rete per pillole ciò che l'oratore diceva All'apparenza sembra un gesto da folle, da pazzi, da mitomani, senza nessunissimo tipo di utilità. perché lo si fa in tanti, invece quello era la spia di un mondo che cambiava, quelle persone che stavano lì, in quel momento mi davano una mano perché c'ero, ma in un altro momento possono diventare miei concorrenti. Il famoso Citizen jornalism, quindi questa cosa ha una doppia valenza. Tu mi chiedi se se nella mia attività di giornalista quali sono le opportunità e le minacce: gli Haters, gli odiatori  quelli che ti insultano che ti dicono che sei raccomandato e altre cattiverie. Aggiungo un'altra cosa: tutto quello che viene prodotto e arriva direttamente alla gente senza alcuna mediazione è una risorsa per il giornalista ma diventa anche un pericolo. È come voler legittimare che una persona abilissima con le mani che conosce perfettamente la bocca e i denti può fare il dentista pur senza avere una laurea in medicina. Non sono un difensore ad oltranza dell'ordine dei giornalisti però penso che preparazione e l'autorevolezza del giornalista serva a mediare e quello che arriva direttamente alla gente .


2. questo significa che, io che sono un esperto di comunicazione digitale e quindi anche esperto della loro manipolazione, non posso ritenermi un giornalista o qualcosa del genere?

allo stesso modo di come io non posso ritenermi un esperto di canali digitali. Cioè io posso essere un bravissimo giornalista ma non posso essere un social media manager. Le nostre professionalità dovrebbero convergere, dovremmo stipulare una grande alleanza tra noi e voi,  perché noi sostituiremmo voi malissimo e la stessa cosa fareste voi.


3. Chi opera nel settore della comunicazione digitale decodifica i messaggi della comunicazione politica.  Soffermarsi su twitter, I casi più eclatanti sono ormai quelli dei grandi leader politici che utilizzano questo strumento per comunicare ai propri elettori, ai propri cittadini, organizzativamente si direbbe "scavalcando l'ufficio stampa" che deve de-twittare o correre dietro al leader di turno. Come si posiziona il giornalista e l’ufficio stampa in questo processo?


E’ un altro aspetto di quella grande cosa che noi chiamiamo disintermediazione; la politica è basata sulla presenza di un leader che cerca a tutti i costi un contatto diretto con la gente, non provoca  soltanto lo scollamento con i corpi intermedi tipo i partiti, i sindacati, gli enti locali etc. Cambia il processo decisionale, una volta un leader politico prima di prendere una posizione seguiva un percorso che si sviluppava all'interno della vita del partito, adesso questo viene saltato. Il processo di disintermediazione, non riguarda soltanto il software, cioè quello che tu comunichi, ma riguarda anche l'hardware, cioè il mezzo che usi per comunicare, quindi tra le tante cose che vengono saltate a pié pari, in questo grande salto che il politico fa verso la gente, c'è anche de minimis l'ufficio stampa. 
Molto spesso lo scavalcamento dell’ufficio stampa è una risorsa per il giornalista che ha  l’opportunità di sapere direttamente ciò che pensa il politico, che non ha fatto la medicazione con l’ufficio stampa ma che ha fatto la mediazione con se stesso,  quello che dichiara non è la confidenza da ascensore. Il retroscena è ancora una cosa molto importante che permette di codificare veramente quello che pensa veramente il politico perché le sue prossime non stanno quasi mai su Twitter. 
L’utilizzo di Twitter da parte dei politici rappresenta per l’ufficio stampa da una parte un rischio ad altre parti un’opportunità esattamente come per i giornalisti. L’inserimento di un social media manager all’interno di un ufficio stampa oggi è fondamentale. Per esempio, durante la trasmissione “In Onda”  avevamo un team di risorse che all’interno della redazione si dedicavano a monitorare i social network più di quanto lo facessero con le agenzie di stampa.


4. La digital transformation ha cambiato la cultura della work life balance; con la cultura “del sempre connesso” la vita del giornalista com’è cambiata?


Anche in questo campo ci sono rischi opportunità per quanto riguarda la mia vita professionale posso permettermi alcuni giorni di staccarmi dall’iper connessione, questo ovviamente non può succedere quando ci sono eventi politici di grande rilevanza come per esempio le elezioni politiche  oppure durante una calamità naturale.
Il rischio dell’iper connessione riguarda soprattutto un freelance, magari ad inizio carriera che deve combattere per avere un pezzo e anche chi viene pagato a pezzi. 
Dal mio punto di vista l’iper connessione rappresenta anche un rischio sociale perché per quanto ti nutri di cose reali che stanno all’interno dei social network questo ti porta a vivere in un’altra dimensione. Una sorta di Truman show.


5. Tutte le categorie professionali utilizzano i social network per promuovere la loro professionalità, questo accade anche giornalisti? 


SI perché i social network aumento della platea sulla quale noi giornalisti siamo presenti. All’epoca del governo Monti lavoravo al Riformista che stava chiudendo; avevo da poco aperto l’account di twitter che ho subito utilizzato e mi ha dato la possibilità in quel preciso momento di farmi conoscere ad un pubblico più vasto. 
Diverso il ragionamento di quando bisogna lanciare un prodotto, per esempio ad “In Onda” abbiano utilizzato per la promozione digitale foto di situazioni e fatti accduti all’interno del programma. 
Un altro esempio è rappresentato dal Corriere della Sera con “Corriere Live” una trasmissione politica pensata soprattutto il web. 
Un giornale formato nel 1876 si rivolge al pubblico del web portando la sua autorevolezza e creando un linguaggio per la rete. Interviste a grandi personaggi della politica, dello spettacolo, dello sport che vanno in diretta streaming. 
Tutti i leader politici e i personaggi dello spettacolo e dello sport sono venuti a Corriere Live, è più facile averli ospiti nel format digitale piuttosto che in trasmissioni televisive. 
C’è la fusione tra uno stile, un linguaggio e un’ autorevolezza plurisecolare unità e un prodotto confezionato per la contemporaneità;  è stato un binomio vincente. 
Anche questa esperienza rientra nella promozione di una professionalità e di un prodotto. 
I giornalisti veicolano i loro prodotti per fare azione di personal branding sulla loro professionalità e di branding sulla loro azienda per cui stanno lavorando in quel momento. Molti pensano che la rete sia la morte della cultura classica, io teorizzo una cosa contraria: I fratelli Karamazov nell’era di Twitter sarebbero stati più letti. Perché per esempio utilizzando i blog in un passano degli schemi di promozione che non sono utili solo per il manager, per il giornalista o per il professionista, ma anche per lo scrittore o per Mozart, perché i social media sono una platea su cui veicolare anche messagi classici.


6. Qual è la tua idea sui modelli di educazione digitale che dovrebbero essere costruiti.


La nostra educazione si sviluppa attraverso due canali fondamentali: la famiglia e la scuola. I nostri genitori e insegnanti sono arrivate alla rete dopo di noi mentre i nostri figli sono arrivati prima di noi.  Serve un’educazione digitale finalizzata a far comprendere che i comportamenti da agire sui social network non possono essere dissimili da quelli agiti nella vita reale. Anche perché le leggi valgono valgono nella vita reale e sui social. Sulla trasformazione tecnologica il figlio sa più del padre e l’alunno sa più dell’insegnante, quindi serve il sacrificio di una generazione.


7. Ritieni che nell’ambito del giornalismo e della comunicazione siano necessari percorsi di “formazione digitale”? e a chi?


La trasformazione tecnologica è molto diversa dalle vecchie  rivoluzione industriale anche perché è stata talmente rapida che ha sorpreso un’intera classe di lavoratori che la deve subire prima di andare in pensione. 
Quindi serve formazione.
Per esempio il cameraman non può avere più uno stile classico di riprese ma deve cambiare il suo modo di lavorare perché poi video girano su tutti i devices,
Il Giornalista che gira un pezzo fuori dalla redazione deve tenere conto di come verrà utilizzato sui social, quel pezzo non andrà solo in TV ma su tutta la rete.
Serve la formazione fatta da professionisti esperti del settore che sappiano come gestire il cambiamento della Digital trasformai, ma serve forse ancora di più la voglia di farsi formare. Perché, secondo me, anche all’interno dell’ambito del giornalismo e della comunicazione c’è una grande  resistenza rispetto ai processi di trasformazione del lavoro che ormai sono cambiati. Una volta un importante giornalista di un’importante testata si poteva alzare alle cinque di pomeriggio perché ormai i fatti li poteva recuperare, e iniziare la giornata da quel momento; oggi invece bisogna essere attenti 24 ore su 24, una volta  compravamo il giornale di carta in edicola oggi il giornale vive di vita propria 24 ore su 24 sulla rete. 
Una redazione deve avere dei centri di raccolta e coordinamento attivi 24 h perché la tempestività non è solo per avere la notizia prima degli altri e pubblicarla la mattina dopo, ma anche per pubblicarla prima in rete e questo significa arrivare prima degli altri nel momento stesso in cui il fatto si sviluppa. 
Infatti i meccanismi delle turnazioni all’interno delle redazioni sono a ciclo continuo.

Mauro Bombardieri e Tommaso Labate





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